Darsi la parola per un patto educativo.
L’orizzonte educativo nel pensiero di papa Francesco

Loris Benvenuti
Salesiano, all’attività educativa con adolescenti e giovani affianca presso lo IUSVE di Mestre la direzione delle lauree magistrali del Dipartimento di Pedagogia e i corsi di Metodologia preventiva e Pedagogia della devianza e della marginalità.

 

  1. Uno sguardo sul pensiero pedagogico di papa Francesco

Non sono certo mancati i contributi che di fronte a papa Francesco si sono occupati del suo pensiero pedagogico. Non è possibile non indicare qui il contributo di padre Spadaro[1], che in numero di “Civiltà Cattolica” del 2018 indicava i sette pilastri dell’educazione in papa Francesco. Non è nemmeno da trascurare il contributo collettaneo a cura di Diaco[2] che nel 2017 raccoglieva gli atti di un convegno sulla scuola cattolica che si focalizzava proprio sulla visione educativa del pontefice, con riferimento specifico al mondo scolastico. Più recentemente è apparso un volume di Elvira Lozupone[3], che si occupa di educazione a partire dall’ecologia integrale così come proposta dall’enciclica “Laudato si’”.

Non mancano quindi contributi di rilievo; quello che più modestamente di desidera fare, nella speranza di riuscirci, in questo contributo è piuttosto tentare di guardare dall’alto per cogliere alcuni assi fondamentali che nel pensiero di papa Francesco offrono un contributo pedagogico.

È bene, per chiarezza e in forma sintetica, cercare di offrire un perimetro rispetto a ciò che è possibile intendere per pedagogico, guardando alla lezione di Mario Gennari:

La pedagogia è la scienza generale della formazione e dell’educazione dell’uomo […] affronta ogni aspetto relativo ai suoi due oggetti centrali: a) la formazione, che comprende la complessità e l’irripetibilità del “prendere forma” e del “tras-formarsi”, propri di ciascun soggetto: b) l’educazione, che riassume la problematicità di ogni relazione educativa nella quale il soggetto è posto dalla vita stessa, dal suo crescere e svilupparsi, dal suo incontrarsi con l’altro-da-sé. Al centro della riflessione pedagogica si pone, quindi, l’uomo[4].

Una prospettiva di questo genere consente di allargare lo sguardo, sottraendolo ad una idea, abbastanza comune, che “pedagogico” abbia a che fare con l’infanzia, il bambino, l’apprendimento e la scuola.

Se il pedagogico ha a che fare con l’uomo, il suo prendere forma, il suo trasformarsi, il suo incontrarsi con l’altro-da-sé, ecco che alcune intuizioni di papa Francesco diventano interessanti, come quello che ritroviamo nel documento “Veritatis Gaudium” (VG), al n. 3

oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca, segnalato da una complessiva «crisi antropologica» e «socio-ambientale» nella quale riscontriamo ogni giorno di più «sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie». Si tratta, in definitiva, di «cambiare il modello di sviluppo globale» e di «ridefinire il progresso»: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade»[5].

È evidente che il papa nel sottolineare la crisi che stiamo vivendo, parlando di un cambiamento d’epoca e della necessità di un cambiamento di rotta per quanto riguarda il modello di sviluppo e di progresso, prende le distanze da una cultura di un certo tipo. Se guardiamo a quelli che possiamo considerare i tre documenti, certamente fondamentali, del suo pontificato, e cioè l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (EG)[6] e le encicliche “Laudato si’” (LS)[7] e “Fratelli tutti” (FT)[8], non può sfuggire come le prime parti di questi siano rivolte ad una sottolineatura della crisi e dalla presa di distanza da un certo tipo di cultura dominante[9].

Questa cultura dominante è quella che potremo definire, consapevoli di una certa generalizzazione, l’antropologia liberale, la quale offre come immagine dell’uomo, «un individuo razionale, autoriferito (se non senz’altro egoista), assiologicamente imperscrutabile agli altri, con valori (gusti) autonomi e refrattari a modifiche eteronome, e con un desiderio incolmabile di beni che è capace di scegliere in modo univoco e coerente». L’azione umana quindi diventa uno scambio, vantaggioso per il singolo; per cui «un sistema di scambi generalizzati, con calcolo rigoroso dei benefici da essi ottenibili, rappresenta la forma ideale e dominante di rapporto sociale», questo consente di avvalersi delle attività degli altri «perseguendo fini propri, senza alcuna necessità di accordarsi con gli altri per agire collettivamente»[10].

Ciò permette di pensare questo sistema di scambi generalizzati come un ordinamento sociale originario, per cui l’attuale moderno sistema di mercato si evolverebbe da forme primitive di scambio sociale che, tuttavia, avevano in radice tutte le caratteristiche del moderno ordinamento sociale del mercato. Un sistema che arriva a funzionare nel migliore dei modi, quando il mezzo di scambio e di valore, il denaro, è affidabile e quando la concorrenza può esprimersi appieno. Questo permette di massimizzare il valore per tutti e per ciascuno, comprime i costi, innova e migliora i prodotti servendo al meglio i consumatori[11].

Degna di nota la conclusione di Zhok rispetto all’antropologia liberale:

Il sistema di mercato dunque non appare come una contingenza storica, ma come il nerbo della storia, il suo nocciolo progressivamente inverantesi: alle radici dell’evoluzione sociale che porta al moderno assetto istituzionale stanno protomeccanismi di mercato, alla ‘fine’ […] dell’evoluzione sociale sta il funzionamento perfetto del mercato come meccanismo di soddisfacimento dei desideri, di riconoscimento dei soggetti agenti e di progresso innovativo[12].

È di fronte a tale antropologia, a tale modello di sviluppo e di progresso, che papa Francesco afferma «oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa»[13]. Efficacemente Cuda, tra le prime a offrire una chiave di lettura del pensiero del papa, così si esprime:

Il discorso pontificio dell’attuale papa latino-americano tende a smascherare le cause della povertà, desacralizzando quelle strutture ingiuste che sono state invece divinizzate, e denaturalizzando processi che in realtà sono storici. […] nelle democrazie rappresentative o liberali, il termine «libertà» rinvia alla libertà di espressione, mentre nelle democrazie partecipative o popolari latino-americane rinvia all’affrancamento dall’ingiustizia sociale o strutturale. Ovvero, per alcuni libertà equivale a pensare, per altri a mangiare. […] Quando i principi politici immanenti sono presentati come trascendenti, necessari e inviolabili, allora vengono divinizzati, prendono il posto di Dio e generano nuove religioni: è il caso del rapporto tra capitalismo e consumo, bersaglio conclamato della critica del pontefice[14].

Ma per quanto ci riguarda, forse le righe più incisive le troviamo al n.54 di EG: «Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri […] si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre queste vite stroncate […] ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo»[15].

Tutto questo ci ricorda, da un punto di vista pedagogico, che siamo “formati male”, potremo dire – sfiorando la banalità – che siamo “mal-educati” perché sensibili ad una cultura parziale, faziosa, che dimentica il legame.

Allora pedagogicamente il papa individua le conseguenze educative di un certo pensiero, lo fa nella semplicità senza abbandonare la profondità della questione: «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”. […] Per chi sono io, non chi sono io: questo viene dopo […]»[16]. Sembra evidente che qui non ci sia nessun tentativo di mettere da parte la considerazione sul soggetto, quanto piuttosto puntare il dito sulla “mal-educazione” del soggetto, mal-educato perché non più capace di cogliere i legami e di ascoltare l’altro, qualsiasi esso sia.

Ecco che quanto viene ribadito nella “Laudato si’” al 49, cioè che «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri», non può che essere anche un approccio pedagogico, perché per ascoltare il grido della terra e dei poveri si tratta di essere educati a riconoscere «che tutto è collegato»[17], che «tutto è in relazione»[18], affinché vi sia «una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società»[19]. È chiaro che per ascoltare e soccorrere i poveri, ci si debba riconoscere “poveri” a nostra volta, è una povertà educativa che segnala un debito rispetto al “noi”. Questo diventa chiaro nella proposta che papa Francesco fa attraverso l’enciclica “Fratelli tutti”; nella parte dove viene riletta la parabola del buon samaritano, uomo che riconosce il legame e che si ferma a soccorrere, viene ricordato di allontanarsi dalla miseria di chi, mal-educato, prova fastidio nel vedere chi soffre[20], per aderire al modello del buon samaritano per essere «costruttori di un nuovo legame sociale»[21]; chiaro il traguardo: «La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene si comune»[22].

Questo è il punto, il linguaggio in cui il papa lo esprime può sembrare semplice, forse quasi banale, ma l’interrogativo che pone è drammatico: non è in gioco solo un’economia che uccide, ma è in gioco una “pedagogia” che, tendenzialmente, educa l’uomo alla insensibilità verso l’altro uomo, del dolore che vede, del fastidio di ciò che scomoda la propria individualità. Questo mi sembra sia in gioco nel pensiero “pedagogico” di papa Francesco, che non è solo questione etica, detto in altre parole: mi fermo oppure no a soccorrere, ma anche questione di legame o mancanza di riconoscimento di tale legame e di conseguente cura del legame stesso[23].

Questo sembra trovare massima esplicitazione nel “Patto educativo globale” (PEG), nel messaggio di lancio, del settembre del 2019, risulta chiaro, in vista del futuro dell’umanità, che «ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà e una società più accogliente»[24].

È di fronte ad una realtà in continua trasformazione, a quello che il papa chiama “cambiamento epocale” non solo a livello culturale ma anche antropologico, che serve una “alleanza educativa”, perché «ogni cambiamento […] ha bisogno di un cammino educativo che coinvolga tutti»[25].

Su questo vale la pena fare due sottolineature, la prima sul fatto che il papa abbia usato la parola “villaggio” per definire il luogo di questa alleanza educativa, portando a corredo il noto proverbio africano che per educare un bambino è necessario un villaggio. Può sembrare un anacronismo, perché non usare piuttosto il termine “città” o, dati i tempi, “rete”? Si può pensare che il termine “villaggio” non sia un vezzo “romantico” quanto voglia mettere in evidenza da una parte, in senso negativo, un problema serio con cui l’educazione oggi ha a che fare, non solo con quello che qualcuno definisce il tempo accelerato, ma anche con la «rapidacion, che imprigiona l’esistenza nel vortice della velocità tecnologica e digitale, cambiando continuamente i punti di riferimento»[26]; e dall’altra, questa volta in senso positivo, il villaggio diventa simbolo di una trama di relazioni e di legami che custodiscono i tempi del darsi forma dell’umano.

La seconda sottolineatura va direttamente sul titolo del messaggio, sull’uso di termini che possono apparire “strani”, quantomeno alla nostra sensibilità: “patto” e “alleanza”. Non si parla per prima cosa di “progetto” o di “obiettivi”, ma di patto/alleanza. Perché vi sia un patto è necessario che vi siano almeno due persone che decidono di impegnarsi per qualcosa che sentono essere comune; stringere un patto non significa che si dimenticano le differenze, ma si dà la precedenza a ciò che è riconosciuto come legame, come comune. In questo senso allora l’altro non è visto come un pericolo, come qualcuno da tenere a distanza, ma come uno con cui è possibile e augurabile camminare insieme, e se ci pensiamo un attimo è anche ciò che costituisce l’educazione: non ci sarebbe rapporto educativo se non vi fosse la convinzione che con l’altro si possa stabilire appunto un rapporto, un percorso, un cammino. Ma se patto e alleanza richiamano certamente il testo biblico, mi sembra che possano anche richiamare un’altra categoria, anche questa biblica ma nello stesso tempo profondamente umana, è cioè la “promessa”. Patto e alleanza si danno dentro una promessa, il darsi la parola, cioè darsi ciò che di più umano l’uomo possiede. Non sembra ozioso allora ricordare alcune espressioni di Hanna Arendt:

«Le due attività (perdonare e promettere) si completano poiché una, il perdonare, serve a distruggere i gesti del passato, i cui “peccati” pendono come la spada di Damocle sul capo di ogni nuova generazione; e l’altra, il vincolarsi con delle promesse, serve a gettare nell’oceano dell’incertezza, quale è il futuro per definizione, isole di sicurezza senza le quali nemmeno la continuità, per non parlare di una durata di qualsiasi genere, sarebbe possibile nelle relazioni tra gli uomini»[27].

È in questo darsi la parola per darsi, insieme, al compito di collaborare nel dare forma alle giovani generazioni che diventa allora necessario, come obiettivi, mettere in primo luogo al centro la persona, poi di «investire le migliori energie con creatività e responsabilità»[28], infine – ed è qui la sottolineatura – «il coraggio di formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità. Il servizio è un pilastro della cultura dell’incontro […] significa lavorare a fianco dei più bisognosi, stabilire con loro prima di tutto relazioni umane, di vicinanza, legami di solidarietà»[29].

2. Indicazioni per un cammino

Il pensiero di papa Francesco, che auspica un patto/alleanza, un villaggio educativo, risulterebbe velleitario se non fornisse anche dei criteri perché si realizzi questo “villaggio” educativo.

In questo senso vale la pena rileggere quanto l’allora cardinale Bergoglio disse nella XIII Giornata di Pastorale Sociale, dove a tema c’erano i 200 anni dell’indipendenza dell’Argentina che, all’indomani della dittatura, cercava uno sguardo per l’avvenire[30].

In quel discorso emerge il “metodo” attraverso cui Bergoglio pensa la “costruzione” di un popolo in vista di una appartenenza e di un bene comune. Quel medesimo impianto sarà poi usato nella Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, lì dove si esplicita quella che è dimensione sociale dell’evangelizzazione[31] e, in particolare, dove si parla del bene comune e della pace sociale[32]. Val la pena segnalare il punto di partenza del discorso dell’allora card. Bergoglio. La sua attenzione va al popolo, mai visto in contraddizione quanto in tensione polare con il singolo soggetto. Ancora una volta ci troviamo a fare i conti con una categoria, “popolo”, che per noi è inusuale, non frequentata, forse anche irritante, abituati come siamo a traguardare ogni cosa sul soggetto, sul singolo, perdendo di vista l’orizzonte comunitario. Val la pena approfondire perché ci sembra che “popolo” e “villaggio” possono essere accostabili.

Così scrive il cardinale Bergoglio:

Sono passati duecento anni durante i quali gli uomini e le donne che ci hanno preceduto hanno costruito, con scelte giuste ed errori, un’eredità che ci appartiene e della quale dobbiamo farci carico con tutti i suoi successi e tutte le sue imperfezioni, perché è esattamente questo il punto di avvio dal quale far partire il nostro contributo per il futuro.

La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nell’ambito di un popolo in cammino. Per questo ogni sforzo individuale […] ogni tappa di governo […] non sono altro che parti di un tutto complesso e diverso che interagisce nel tempo: un popolo che lotta per un destino, che lotta per vivere con dignità[33].

Nella EG, al n. 220, papa Francesco riafferma quanto sottolineato anni prima:

Ma diventare un popolo è qualcosa di più [della partecipazione alla vita politica], e richiede un costante processo nel quale ogni generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento, arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.

In “Noi come cittadini, noi come popolo” viene affermato con decisione:

Oggi esiste una tendenza, sempre più accentuata, ad esaltare l’individuo. È il primato dell’individuo e dei suoi diritti sulla dimensione che vede l’uomo come un essere in relazione. […] Questo individualismo asociale e amorale infetta spesso il comportamento di settori o frammenti della nostra società, che no si riconoscono in un orizzonte più ampio, in un tutto.

Per questo, di fronte agli impegni socio-politici [noi potremo dire: educativi] attuali dobbiamo fare lo sforzo di recuperare questa dimensione individuale, personale – importantissima e significativamente rilevante nella nostra tradizione di pensiero –, per farla interagire con la dimensione sociale, collettiva e strutturale della vita comunitaria[34].

L’insistenza su questo aspetto “comunitario” è implacabile e che può aiutarci a comprendere che “popolo”, come “villaggio”, è categoria carica di significato simbolico:

Popolo è una categoria storica e mitica. […] Popolo non può spiegarsi solo in maniera logica. Contiene un plus di significato che ci sfugge se non ricorriamo ad altri modi di comprensione, ad altre logiche […]. non è un fatto automatico. Si tratta di un processo, di un farsi popolo[35].

Si tratta però, continua Bergoglio, di recuperare ciò «che ci aiuta a vivere insieme, quello che ci dà forza, quegli elementi che possono offrirci piste per far crescere e consolidare una cultura dell’incontro e un orizzonte utopico condiviso»[36].

Un popolo vive, noi, parafrasando il Patto Educativo Globale, potremo dire il “villaggio”, avendo di mira qualcosa di comune: «Popolo è la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune»[37].

In questa prospettiva viene indicato il metodo:

Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale […] che orientano specificatamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune[38].

Ci sembra, questa, un’indicazione imprescindibile per la costruzione del “villaggio dell’educazione”.

Indichiamo quelle che Bergoglio riconosce come tensioni polari:

-) pienezza e limite;

-) idea e realtà;

-) globale e locale.

Pienezza e limite

In forma sintetica possiamo dire che la pienezza è la tendenza a possedere tutto, mentre il limite si configura come la parete che ti si frappone davanti. «La pienezza è quell’attrazione che Dio mette nel cuore di ciascuno di noi affinché ci dirigiamo verso ciò che ci rende più liberi; il limite, che è sempre presente insieme alla pienezza che ci attrae, ci spinge invece indietro; è la congiuntura, o la crisi come daffare, direi come faccenda quotidiana»[39].

Pienezza e limite sono in tensione tra di loro; si tratta di non negare nessuna delle due, come una non deve assorbire l’altra; per quanto ci riguarda allora un “villaggio dell’educazione” non può che costruirsi se non nella «tensione entro la congiuntura del momento letta alla luce del tempo, dell’orizzonte»[40].

Dalla tensione tra pienezza e limite emergono due principi: il tempo è superiore allo spazio e l’unità è superiore al conflitto.

1. Il tempo è superiore allo spazio

È nel tempo che i processi iniziano, lo spazio invece tende a cristallizzarli:

Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo[41].

Dire che il tempo è superiore allo spazio è certamente vero per quanto riguarda l’attività educativa – pensiamo a quello che il papa chiama rapidacion –, «è il tempo che governa gli spazi, che li illumina, li trasforma in anelli di una catena»[42]. Ecco perché avviare processi è più importante e urgente che occupare o possedere spazi:

A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana[43].

2. L’unità è superiore al conflitto

È l’altro principio che nasce dalla tensione tra pienezza e limite, per cui «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato»[44]. Arrestarsi di fronte alla problematicità portata dalla congiuntura significa perdere di vista l’unità, per questo è necessario affrontare il conflitto nella congiuntura, si tratta di viverlo, ma per farlo ci sono  modi diversi di assumerlo. Un modo è di evitarlo, voltando le spalle, cercare di dimenticarlo. Un secondo modo è quello di coloro che «entrano nel conflitto, in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte»[45]. Infine vi è la possibilità di stare dentro il conflitto, «di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo»[46].

È in questo modo che, tornando al villaggio dell’educazione, che può svilupparsi una unità seppur nelle differenze, la quale «può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda»[47]. In questo senso l’unità che è superiore al conflitto diventa principio inaggirabile per la costruzione dell’amicizia sociale, per cui la solidarietà «diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita»[48].

Idea e realtà

Una seconda tensione viene individuata tra la realtà e l’idea: «La realtà è. L’idea si elabora, si induce»[49]. Tra queste è necessario un dialogo continuo, affinché non vi sia mai disgiunzione tra realtà e l’idea. «L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà»[50], per cui ciò che riesce a muovere, a convocare è la realtà illuminata dal ragionamento. Da questa tensione emerge allora il terzo principio: la realtà è superiore all’idea.

3. La realtà è superiore all’idea

Ciò che viene prima dunque è la realtà, la realtà è superiore all’idea; su questo papa Francesco è severo:

Vi sono politici – e anche dirigenti religiosi – che si domandano perché il popolo non li comprende e non li segue, se le loro proposte sono così logiche e chiare. Probabilmente è perché si sono collocati nel regno delle pure idee e hanno ridotto la politica o la fede alla retorica. Altri hanno dimenticato la semplicità e hanno importato dall’esterno una razionalità estranea alla gente[51].

Globalizzazione e localizzazione

Arriviamo all’ultima tensione polare, quella tra globalizzazione e localizzazione. Si tratta di avere uno sguardo verso ciò che è globale, perché è questo che ci permette di riscattare da quella che è la meschinità quotidiana[52]: «Quando la casa non è più focolare, ma chiusura, segreta, il globale può riscattarci perché in linea con quella stessa causa finale che ci attraeva verso la pienezza»[53]. Contemporaneamente va assunto il locale, perché «fa camminare con i piedi per terra»[54] e perché possiede qualcosa che il globale non ha: «quello di essere lievito, di arricchire, di mettere in moto meccanismi di sussidiarietà»[55]. Ecco dunque il quarto principio: il tutto è superiore alla parte, più anche della loro somma.

4. Il tutto è superiore alla parte

Riguardo a questo il pontefice ricorda che «non si deve essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti». La propria storia, la propria tradizione restano una ricchezza da non disperdere.

Rispetto a questo, emerge l’immagine che il papa ha usato molte volte, il modello non va pensato nei termini di una sfera «dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità»[56].

E per allontanare l’idea che il poliedro sia solo un “esempio didattico”, il papa continua: «Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto»[57].

Traguardando quanto detto al patto educativo, al villaggio dell’educazione, per tener fede alla promessa, alla parola data di darsi alla responsabilità educativa, possono essere utili alcune espressioni dell’allora cardinale Bergoglio, prese ancora una volta da “Noi come cittadini, noi come popolo”, lì evidentemente dirette ai cittadini argentini, ma non impossibili da portare dentro una responsabilità educativa:

Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati ad una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo. Questo presuppone una lotta. Nella giusta risoluzione di queste tensioni bipolari c’è lotta, c’è una costruzione agonica.

La lotta ha due nemici: il “menefreghismo”, mi lavo le mani davanti al problema e non faccio niente, ma così non sono cittadino. O la lamentela, quello che Gesù diceva alla gente del suo tempo: non li capisco. Sono come fanciulli che suoniamo danze allegre non ballano e quando cantiamo lamenti funebri non piangono. Vivono lamentandosi[58].

 

 

NOTE DI RIFERIMENTO ALLA BIBLIOGRAFIA

1 A. Spadaro (2018), Sette pilastri dell’educazione secondo J.M. Bergoglio in Id. (direttore), La civiltà cattolica, III:343-357, Compagnia di Gesù, Roma. 

2 E. Diaco, a cura di, L’educazione secondo papa Francesco. Atti della Giornata pedagogica del centro studi per la scuola cattolica ‒ (Roma, 14 ottobre 2017), EDB, Bologna 2018. 

3 E. Lozupone, Nel segno dell’Ecologia Integrale. Contesti ed esperienze educative, FrancoAngeli, Milano 2021

4 M. Gennari, Trattato di pedagogia generale, Bompiani, Milano 2006, 23

5 Veritatis Gaudium (VG) 3, cfr. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html (consultato 14/04/22)

6 Evangelii Gaudium (EG), Cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html (consultato il 14/04/22)

7 Laudato si’ (LS), Cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html (consultato 14/04/22)

8 Fratelli Tutti (FT), https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html (consultato 14/04/22)

9 Si tratta per l’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” del capitolo secondo, intitolato “Nella crisi dell’impegno comunitario”, nn. 50-109; nell’enciclica “Laudato si’” del capitolo primo intitolato “Quello che sta accadendo alla nostra casa”, nn. 17-61 e per l’enciclica “Fratelli tutti” il primo capitolo, intitolato “Le ombre di un mondo chiuso”, nn. 9-55

10 A. Zhok, Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo, Jaca Book, Milano 2006, 73; si veda a questo riguardo anche A. Zhok, Critica della ragion liberale. Una filosofia della storia corrente, Meltemi, Milano 2020.

11 Cfr. Ivi, 73-77

12 Ivi, 75

13 EG 53; corsivo nostro. 

14 E. Cuda, Leggere Francesco. Teologia, etica e politica, Bollati Boringhieri, Torino 2018, 17; 22-23. Corsivi nostri.

15 Corsivi nostri.

16 Veglia di preghiera in preparazione alla giornata mondiale della gioventù, Basilica di Santa Maria Maggiore, 8/04/2017 cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/april/documents/papa-francesco_20170408_veglia-preparazione-gmg.html (consultato 14/04/22)

17 LS 91

18 LS 92

19 LS 91

20 Cfr. FT 65

21 FT 66

22 FT 67

23 A questo riguardo, benché la nostra attenzione si sia concentrata su EG, LS e FT, sulla questione del legame e della sua cura non va certamente dimenticato l’Esortazione apostolica postsinodale “Amoris Laetitia”; cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html (consultato 03/02/22)

24 PEG, cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2019/documents/papa-francesco_20190912_messaggio-patto-educativo.html (consultato 14/04/22)

25 Ivi

26 Ivi

27 H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 2014, 175. Corsivi nostri.

28 PEG

29 Ivi

30 Cfr. J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, Jaca Book-LEV, Milano-Roma 2013.

31 È il Quarto Capitolo intitolato appunto “La dimensione sociale dell’evangelizzazione” dell’esortazione apostolica, cfr. EG 176-258

32 Cfr. EG 217-237

33 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 25-26

34 Ivi, 35-36

35 Ivi, 37-38

36 Ivi, 39

37 Ivi, 45

38 EG 221

39 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 61

40 Ivi, 62

41 EG 223

42 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 62

43 EG 224

44 EG 226

45 EG 227

46 Ivi

47 EG 228

48 Ivi

49 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 65

50 EG 232

51 Ivi

52 Cfr. EG 234

53 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 67

54 EG 234

55 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 67

56 EG 236

57 Ivi

58 J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, op. cit., 69

Loris Benvenuti

Loris Benvenuti

Salesiano e professore nel Dipartimento di Pedagogia presso IUSVE

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