Le scienze mediche ci hanno allenati da tempo a non fare attenzione soltanto ai sintomi ma a indagare, mediante ricerche e diagnosi eziologiche, le cause dei disturbi che ci affliggono. Abbiamo compreso che lavorare alla radice di un’anomalia fisica non soltanto garantisce maggior benessere ma può ridurre il rischio che si ripresenti. Questo potrebbe essere un minimo comun denominatore che collega idealmente la figura di Francesco di Sales, proclamato dalla Chiesa Cattolica patrono dei giornalisti, all’operato di quanti oggi si adoperano per sgretolare scorciatoie mentali e inclinazioni dannose che viziano giudizi e scelte. Per esplicitare in maniera più chiara questo corto circuito storico, partiamo dall’attualità.

È nota alle cronache nazionali la vicenda di due coniugi veneti, di convinta fede terrapiattista, imbarcatisi a Termini Imerese nel corso delle restrizioni dovute alla pandemia, nel settembre 2020, con l’intento di giungere alla fine del disco terracqueo. Nemici giurati di cellulari e Gps elettronici i due avevano scelto di orientarsi con una bussola, strumento che funziona sulla base del magnetismo terreste, e quindi dell’esistenza di un globo terracqueo in costante rotazione. A nulla sono valsi i tentativi di ricondurli all’evidenza dei fatti dopo che erano stati soccorsi, quasi naufraghi, a Ustica [1]. Hanno ripreso nuovamente e inutilmente la navigazione, mantenendo salda la loro fede nel disco piatto.

In questi casi tentare di convincere o dimostrare non risulta produttivo, non soltanto perché, come indica bene l’antico monito della filosofia scolastica «quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur», ciascuno comprende secondo la capacità che gli è propria, ma anche a causa di una serie di distorsioni e scorciatoie mentali difficilmente sanabili. Il concetto di bias cognitivo è riconducibile alla ricerca “Heuristics and Bias Program” condotta negli anni ’70 dagli psicologi statunitensi Amos Tversky e Daniel Kahneman. Il dizionario Treccani definisce i bias (inclinazioni) come «pregiudizi fondati su percezioni errate o deformate, al di fuori del giudizio critico; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza sforzo, rappresentano di fatto una distorsione inconsapevole e nefasta della realtà». Quell’”inconsapevole” è degno di nota visto che tra le prime distorsioni cognitive c’è proprio il cosiddetto bias blind spot, ovvero l’incapacità di renderci conto che siamo afflitti da errori di giudizio dovuta a un’area cieca della nostra consapevolezza.

Va premesso che in letteratura è difficile individuare una tassonomia univoca di euristiche e bias cognitivi. I riferimenti di questo articolo sono gli studi di Baron, (2008); Carter, Kaufmann e Michel (2007); Stanovich e West (2008) e dalla classificazione operata da Ceschi e Sartori in uno studio del 2012.

Il problema non si pone, pertanto, solo a livello di avvelenamento della fonte di informazione, di manipolazione o di correttezza nella catena di trasmissione ma anche di ermeneutica e di distorsioni nel processo di ricezione (Gadamer, 1960). Il bias di conferma (confirmation bias), ad esempio, è quel fenomeno che spinge gli utenti dell’infosfera a selezionare soltanto le informazioni che vanno a suffragar le proprie convinzioni mentre l’effetto carrozzone (bandwagon bias) fa preferire le opinioni della maggioranza alla ricerca della verità per timore di essere esclusi. Gli errori di valutazione delle informazioni possono essere indotti anche dal bias delle convinzioni (belief bias) che spinge a vagliare o prendere decisioni non tanto sulla base di processi logici quanto piuttosto sulle proprie convinzioni personali.

Estremamente interessante è il contributo scientifico dello psicologo italiano Daniele Luzzo [2] su come bias cognitivi abbiano influenzato la percezione e la gestione della pandemia. Nelle conclusioni l’autore, che cita ben 13 bias che possono aver contribuito alla diffusione fisica del virus, suggerisce ai leder che devono predisporre politiche di salute pubblica di tener conto sia delle euristiche che influiscono sulle scelte personali sia della salute mentale e psichica delle persone.

Chi si occupa di etica dell’informazione oggi deve tener conto non soltanto della catena di trasmissione delle notizie ma anche del processo di selezione da parte dell’utente che può essere influenzata da gravi distorsioni cognitive. Fenomeno che non è certo nuovo ma ha subito una sensibile amplificazione grazie a rapidità e accelerazione delle mediazioni digitali. L’effetto delle euristiche cognitive, infatti, si può rilevare anche in fenomeni di trasmissione delle informazioni avvenute in passato. In questo frangente ci interessa prendere in considerazione le distorsioni che possono avere condizionato, ipoteticamente, scelte e adesioni di donne e uomini al tempo della Riforma protestante e dell’azione di Francesco di Sales. Uno dei meccanismi più evidenti che possiamo dedurre è il bias dell’autorità (authorithy Bias), ovvero l’euristica che porta la persona a valutare e scegliere in base alle opinioni dell’autorità costituita, sia essere religiosa o civile. A questo si può accostare il fenomeno della disponibilità a cascata (availability cascade), ovvero il fenomeno secondo il quale un’opinione che viene ripetuta più volte ha più probabilità di essere ritenuta credibile. La razionalità limitata (bounded rationality), invece, spinge a giudicare e scegliere rispetto soltanto a poche informazioni, limitate, sia rispetto alla quantità che alla qualità.

Pertanto se l’azione del vescovo di Ginevra è stata palesemente rivolta alla conversione è pur vero cha nel suo metodo si riscontra la prevalenza della dolcezza all’asperità della contesa. Questa, probabilmente, è una delle chiavi per smontare l’aggressività della contesa e raggiungere il profondamente umano che c’è nell’altro, come rammenta l’autore Bruno Mastroianni (2017) nel suo blog a proposito delle strategie d’uscita da contese apparentemente insanabili: «ogni vicenda umana richiede un certo cambiamento personale – di vedute, di atteggiamento, di abitudini».

L’attenzione di Pio XI nel redigere lettera enciclica Rerum omnium perturbationem partendo da vita e opere di Francesco di Sales è palesemente rivolta agli scrittori cattolici che «che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina[3]», è mirata quindi all’apologetica. Singolare risulta, però, la raccomandazione rivolta agli autori di confutare gli errori animati da «da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità». Azioni e obiettivi alquanto difformi dall’azione del giornalismo laico odierno ma da ricomprendere all’interno di un’operazione ermeneutica che ci aiuta a entrare nel contesto culturale e nelle intenzioni di Papa Ratti.

In conclusione possiamo azzardare l’esistenza di un legame metodologico che connette Francesco di Sales e i moderni comunicatori basato sull’azione volta più a sgretolare i bias cognitivi che non a contrastare soltanto la superficie sintomatica di errori di approvvigionamento alle fonti.

A chi demandare oggi un compito così impegnativo? Probabilmente a una nuova e inedita comunità educante, anche rispetto al mondo adulto, che possa far riaffiorare la consapevolezza dei limiti cognitivi che possono affliggere ciascuno di noi e reintroduca, anche attraverso l’etica e la professione dei giornalisti, una sana sete di confronto e ricerca della verità.

Marco Sanavio

 

[1] https://www.open.online/2020/09/01/terrapiattisti-naufragano-a-ustica/

[2] D. LUZZO, Rivista di Psicologia dell’Emergenza e dell’Assistenza Umanitaria, n. 25 (2021), pp.28-33

[3] POI XI, Lettera eniclica Rerum omnium perturbationem (26 gennaio 1923)