Anche per l’anno 2019-2020 FISM TREVISO e ISRE hanno stipulato una convenzione per la formazione delle operatrici dei nidi e delle scuole d’infanzia del territorio.

Per le neo-coordinatrici è stato svolto un percorso formativo sul tema de “La leadership autorevole: gestire la relazione tra adulti nei contesti educativi”, condotto dalle dott.sse Loredana Crestoni e Paola Ottolini.

La leadership può essere definita come un processo di influenza. Essa attiva risorse che condizionano la direzionalità dei comportamenti dei membri verso gli obiettivi dell’organizzazione o gruppo di lavoro. La proposta formativa che è stata elaborata prende liberamente spunto dal lavoro di M. Becciu-A. Colasanti, La leadership autorevole, Nis ,Firenze 1997. La riflessione condotta dagli autori orienta la prospettiva non tanto alla creazione di un ulteriore modello di interpretazione della leadership, ma, partendo dai modelli teorici esistenti, propone una identificazione delle competenze personali e delle condizioni nell’ambito del contesto organizzativo, che favoriscono l’attuazione di una leadership autorevole; “…possiamo definire autorevole quello stile tramite il quale il leader, pur svolgendo funzioni orientative e normative, funge da facilitatore che lavora non per il gruppo ma con il gruppo: valorizzando le risorse dei singoli, promuovendo la dialogicità nell’interazione, stimolando la corresponsabilità nel raggiungimento delle mete personali e comuni” (p. 34).

Per quanto riguarda le modalità di attuazione della leadership autorevole vengono distinte tre aree.

La prima area riguarda le conoscenze necessarie al leader, per coordinare efficacemente un gruppo di lavoro. É necessario che il leader acquisisca conoscenze in merito alle modalità di funzionamento dei gruppi di lavoro e ai fattori che favoriscono o ostacolano il raggiungimento degli obiettivi.

La seconda area riguarda gli atteggiamenti del leader verso il gruppo cioè le modalità comportamentali tramite le quali il leader definisce il suo rapporto con i collaboratori. Queste modalità comportamentali fanno riferimento agli atteggiamenti con i quali il leader agevola e facilita la partecipazione attiva di tutti, incoraggiando il senso di responsabilità; alla capacità del leader di sostenere, attraverso interventi di incoraggiamento, attribuzione di stima e riconoscimento e sostegno nelle difficoltà, i bisogni individuali; alla capacità del leader di essere autenticamente e in prima persona coinvolto nella relazione con il gruppo, esprimendo con chiarezza la sua percezione della dinamica relazionale all’interno del gruppo.

La terza area riguarda le competenze comunicative del leader necessarie per indurre motivazione, stimolare nei membri senso di appartenenza al gruppo, far comprendere e stimolare il conseguimento degli obiettivi.

Questo modello di interpretazione della leadership orienta, da un lato, il contesto organizzativo a strutturarsi secondo modalità che facilitino l’assunzione della leadership e, dall’altro, orienta il leader al potenziamento delle conoscenze, degli atteggiamenti e delle competenze comunicative funzionali all’attuazione di una leadership autorevole.

Per le coordinatrici con esperienza professionale in questo ruolo si è invece proposto un percorso formativo sul tema “Modelli pedagogici alla luce dell’antropologia cristiana”, condotto dal prof. Michele Marchetto.

Dall’antichità classica in poi, il rapporto fra antropologia e educazione ha interessato molti pensatori, incominciando dai maggiori. Ma v’è da dire che ogni teoria antropologica, anche se priva di esplicito riferimento al problema educativo, offre, in proposito, spunti impliciti. Nella stagione post-moderna, dove il cambiamento dei paradigmi culturali sembra avere definitivamente consumato antiche certezze e rimesso in discussione consolidati punti di riferimento, il dialogo interdisciplinare fra filosofia e pedagogia si rende quanto mai necessario.

Nella Théorie de l’éducation (1901), Lucien Laberthonnière affermava: «L’idea che ci si fa dell’educazione e dell’ufficio di educatore dipende evidentemente dall’idea che ci si fa dell’uomo e della sua destinazione». Era un’osservazione quasi ovvia. Stava a indicare che l’antropologia pre-ordina il disegno educativo, almeno nei fondamentali contorni teleologici e assiologici. Dal canto suo, Jacques Maritain, in Pour une philosophie de l’éducation (1959), asseriva che la domanda relativa all’uomo costituisce «il preambolo inevitabile» di ogni teoria dell’educazione».

L’antropologia filosofica, proprio per lo specifico oggetto di ricerca (l’uomo, nella singolarità del suo essere, nell’originalità delle proprie funzioni simboliche e comunicative, nell’unicità del potere di auto-determinazione, nella «mondanità» dell’esistenza posta fra un’origine non decisa e una fine ineluttabile), racchiude in sé la possibilità di delineare le questioni di fondo e di sfondo necessarie agli sviluppi pedagogici. Naturalmente, deve trattarsi di “buona” antropologia[1].

Con le insegnanti infine si è svolto un percorso sul tema “La co-educazione come base della relazione scuola-famiglia”, presentato in un convegno dal prof. Jean Pierre Pourtois e dalla prof.ssa Anna Pileri e successivamente approfondito in laboratori zonali condotti dalle dott.sse Loredana Crestoni e Paola Ottolini.

Oggi più che mai il bisogno di alleanza educativa sollecita la necessità di azioni educative pensate per i bambini insieme alle famiglie. Questo richiede un cambiamento di prospettiva culturale da parte di chi educa, occorre rinunciare a un ruolo di centralità e ri-pensare all’educazione e all’insegnamento in termini co-educativi scuola-famiglia-città.

Cosa significa co-educare? “Occorre tutto uno villaggio per educare un bambino”, questa nota citazione[2] esprime la nozione centrale della co-educazione, ovvero, la collaborazione partenariale: un “vivere-insieme” finalizzato al miglioramento regolato dagli attori stessi (bambini-genitori-insegnanti-città). È l’idea che il sogno del villaggio wolof, dove l’educazione di un bambino è concepita come “affare di tutti”, possa trovare nella problematicità del quadro storico attuale una traduzione concreta, lasciando un grande margine di azione agli attori e mirando, con vigore, all’obiettivo di coinvolgere i bambini nel loro processo educativo rendendoli responsabili ed autonomi quali futuri cittadini in una società democratica.

“La coeducazione implica certamente la partecipazione, l’alleanza educativa, la co-costruzione di obiettivi specifici, ma ad essi occorre aggiungere un ulteriore ingrediente e mi riferisco al coinvolgimento, aspetto che differisce dalla mera partecipazione poiché implica senso di appartenenza, motivazione a partecipare con regolarità, desiderio di condivisione, cooperazione, impegno, responsabilità. Di qui la spinta sia ad approfondire i temi partecipazione e coinvolgimento, individuando in che modo favorirli attraverso azioni husserlianamente intenzionali” (Pileri, 2018)

Di qui l’idea di promuovere l’emancipazione di tutti in primis del bambino, ma non secondariamente della sua famiglia e dei membri della comunità, in un’ottica di co-educazione e co-emancipazione (Pourtois e Desmet, 2017).


[1] liberamente tratto da “Modelli antropologici e modelli educativi” di Luciano Caimi in: Mario Signore, a cura, Ripensare l’educazione, 2013, Pensa MultiMedia editore, pp. 29-60 – consultabile anche sul sito http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9548:modelli-antropologici-e-modelli-educativi&catid=508&Itemid=1088

[2] Amadou Hapate Bâ, scrittore et etnologo malese