I dati recenti sull’aumento dei NEET in Italia (giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano, non fanno formazione), sono davvero allarmanti. Siamo all’ultimo posto in Europa e la pandemia ha rappresentato un fattore trainante e allo stesso tempo scatenante.

La parola chiave in questi tempi cosi disordinati e confusi è dis-orientamento: lo sono i genitori dinanzi a figli profondamente diversi da quelli del passato, lo sono gli studenti che hanno ripreso la presenza a scuola ma provano spesso disaffezione e abbandonano, lo sono i giovani alla ricerca del loro posto nel mondo che spesso non trovano, lo sono i lavoratori alle prese con la disoccupazione, lo sono i cittadini travolti da tecnologie che dovrebbero migliorare la vita ma che non è facile governare, lo sono i docenti che spesso vivono un rapporto conflittuale con i genitori e che alle prese con un modello di insegnamento che non corrisponde più ai bisogni degli studenti.

Se a questo aggiungiamo gli allarmi sullo scenario demografico, tanto denunciati anche da papa Francesco come vero e proprio inverno demografico, pare corretto affermare che “Il futuro sta passando, con la conseguenza che c’è chi è pronto e chi no”, come ben sottolineato nel Rapporto 2022 di Fondazione Nord Est.

Al dis-orientamento possiamo rispondere solo con la forza dell’orientamento.

Tuttavia non ci si può limitare a considerare l’età (attualmente 13-14-anni, coincidente con il termine della scuola secondaria di I grado) per fare un orientamento alle scelte consapevoli.

Occorre invece considerare il modo di pensare e di guardare al mondo, lungo tutto il percorso di crescita (e di apprendimento), dentro e fuori i cosiddetti sistemi formativi.

Un patto educativo tra più soggetti che preveda in tal senso forti investimenti, anche di capitale umano preparato e capace ad accompagnare questi processi.

Una scelta giusta e coerente circa gli studi da parte di uno studente infatti, oltre a preservarlo dall’insuccesso e dall’abbandono, è anche un investimento per la società ed il Paese che vorremmo tutti.

 

 

Michela Possamai

Presidente ISRE