Jean Guichard

Introduzione

«Sgomento» ed «inquietitudine», questi sono i termini utilizzati dall’editore e saggista Jean Claude Guillebaud (2006) per definire uno stato d’animo sempre più condiviso nelle società contemporanee occidentali. Le osservazioni (riassunte in questo articolo) di specialisti in ecologia, scienze economiche e sociali, degli analisti del lavoro non sono certo incoraggianti. Essi sottolineano, tuttavia, che non tutto è perduto e che è ancora possibile un’azione collettiva per affrontare questi problemi. In che modo il supporto all’orientamento potrebbe aiutare a risolverli?

È a questa domanda che l’argomentazione seguente cerca di dare degli elementi di risposta che verranno sviluppati in cinque punti. Innanzitutto viene ricordato il contesto sociale, economico e ideologico che ha esteso all’intera popolazione una domanda che in precedenza ci si poneva di rado: in che vita attiva mi posso impegnare? Grazie al lavoro di Hannah Arendt (2017) si differenziano tre dimensioni connesse a questa domanda generale: il lavoro, l’opera e l’azione. Tale scomposizione conduce, in una terza fase, a sottolineare la portata ed i limiti dell’accompagnamento all’orientamento che viene offerto oggi ai richiedenti: concentrandosi sull’opera (lavoro produttore d’opera) si rischia di ignorare il lavoro (fatica) e l’azione.

Verranno quindi ricordati gli aspetti principali della crisi mondiale contemporanea ed alcune proposte suggerite da esperti per farvi fronte. Esse portano a sviluppare un orientamento-azione centrato sulla domanda: come orientare la mia vita attiva in modo tale che nel 2050 circa 10 miliardi di esseri umani possano godere di una vita realmente umana in un mondo in cui le risorse sono limitate?

Infine saranno brevemente descritti due esempi di interventi inerenti all’orientamento-azione.

 

  1. In quale vita attiva impegnarmi? Una delle maggiori preoccupazioni dell’individuo nelle società occidentali industrializzate.

Le funzioni professionali del consiglio orientativo sono nate nelle società occidentali tra il 19mo e il 20mo secolo. Ciò non significa che prima ci si astenesse dal consigliare le persone sulla direzione da dare alla loro esistenza o su importanti scelte di vita. Da una parte, però, l’aiuto che era dato loro non era il risultato di un corpo di professionisti specializzati, poteva essere quello di un parente, un prete, un precettore, un consigliere spirituale, ecc. Dall’altra, l’oggetto di questi consigli era in genere molto più ampio della mera attività produttiva nella quale impegnarsi. Per citare Montaigne: come comporre il nostro modo di vita per vivere in maniera appropriata? Egli scrive:

«Siete riusciti a riflettere e a prendere la vita nelle vostre mani? Avete fatto allora l’opera più grande di tutte. (…) Comporre la nostra maniera di vivere è nostro dovere, non realizzare libri, e vincere battaglie e provincie, ma ordine e tranquillità per la nostra condotta. Il nostro capolavoro più grande e glorioso è vivere comunque. Tutte le altre cose, regnare, accumulare, costruire, non sono che delle piccole appendici» (Montaigne, 2009, libro III, capitolo 13, p.1337).

Questa assenza di preoccupazione per l’orientamento professionale non si spiega se non  considerando che fino al 18mo secolo le società occidentali furono quasi immutabili.

Infatti, pochi furono i cambiamenti nelle tecniche di produzione artigianale e agricole e nell’organizzazione degli scambi, dal medio evo (e dalla fine dell’impero romano) fino al 18mo secolo. Inoltre, l’organizzazione sociale in tre ordini ed il sistema delle gilde degli artigiani o i commercianti determinavano grande stabilità ed immobilità sociale. Di conseguenza, per la maggioranza dei giovani dell’epoca, la questione della loro futura vita attiva non si poneva veramente: doveva essere identica a quella dei loro genitori. Soltanto un numero marginale di essi provenienti dal terzo stato o dall’aristocrazia erano suscettibili alla «chiamata della vocazione» di tipo religioso, militare o artistico.

Le cose cambiarono con ciò che potremmo definire «la messa in movimento delle società occidentali nel corso del 19mo secolo». Questo dinamismo sociale risultò nella congiunzione di tre fenomeni:

  • In primo luogo, la filosofia dei lumi che mise in discussione l’idea stessa di ordine sociale immutabile e corrispondente ad un disegno divino.
  • In secondo luogo, il successo della tesi fondativa dell’economia liberale di Adam Smith (che partecipò al movimento dei lumi). Smith sostiene che la libertà di intrapresa del singolo permette un più efficace raggiungimento del bene comune rispetto alla regolamentazione dei sistemi di produzione e delle forme di scambio e commercio. Di conseguenza le gilde e le corporazioni artigianali e commerciali non hanno ragion d’essere.
  • In terzo luogo, progressi tecnologici importanti a partire dai tre brevetti depositati da James Watts (nel 1765, 1781 e 1785) che resero funzionante il motore a vapore proprio quando Adam Smith pubblicava la sua «Indagine sulla natura e le cause della richezza delle nazioni» (1776).

La congiunzione di questi tre fenomeni portò ad uno straordinario sviluppo dell’industria, del commercio e a delle profonde trasformazioni dell’agricoltura.

Tali sviluppi e trasformazioni portarono alla nascita del «lavoro» nell’accezione odierna. Certo, in precedenza, gli esseri umani avevano attività di produzione di beni e servizi, ma, come sottolinea Jean-Pierre Vernant (1988, pp. 295-296), scambiavano il prodotto della loro attività nell’ambito di una relazione di servizio : fabbrico questo paio di scarpe per questo cliente qui che mi paga il prezzo che abbiamo concordato (in base alle regole della mia corporazione).

Ciò che cambia con il modello economico promosso da Smith, osserva Vernant, è che i prodotti di queste svariate attività sono destinati ad un mercato dove sono scambiati gli uni con gli altri. In questo mercato il valore di ciascun prodotto risulta dall’equilibrio che si stabilisce tra i prezzi di scambio.   Per questo l’attività necessaria alla loro produzione acquista un valore preciso. Nasce così il lavoro, nel senso astratto in cui lo intendiamo oggi. Più semplicemente, se sul mercato posso scambiare un paio di scarpe per tre pantaloni, allora il valore di mercato del lavoro del calzolaio è tre volte superiore a quello del sarto.

Questi cambiamenti radicali nei sistemi di produzione e di scambio di beni e servizi ebbero   conseguenze sociali considerevoli. In particolare la perdita di posti di lavoro e una dequalificazione di numerose funzioni professionali legate alla meccanizzazione e alla riorganizzazione dei modi di produzione. Ciò produsse:

  • Movimenti sociali e scioperi tra cui, ad esempio, le rivolte dei canuts (gli artigiani della seta) di Lione nel 1831 e 1834.
  • Fenomeni migratori, in particolare verso il nuovo mondo.
  • Conflitti armati perchè, cosi come sottolinea la sezione 13 del Trattato di Versailles (che mise fine nel 1919 alla prima guerra modiale), «esistono condizioni di lavoro che implicano per un gran numero di persone, ingiustizia, miseria che danno luogo a un malcontento tale da mettere in pericolo l’armonia universale e la pace». Poichè, precisa il trattato, «la mancata adozione da parte di una qualsiasi nazione di un regime di lavoro realmente umano ostacola gli effetti delle altre nazioni desiderose di migliorare la sorte dei lavoratori del proprio paese» (p. 211)
  • Di conseguenza la creazione (da parte dello stesso trattato di Versailles) di una Organizzazione Internazionale del Lavoro volta a promuovere un diritto del lavoro che porti rimedio ai problemi sopra indicati.

É in questo nuovo contesto economico, ideologico e sociale che nacque il consiglio professionale all’orientamento. Apparve inizialmente nelle città o nei porti dove arrivavano le vittime dell’esodo rurale e i molti immigrati e dove si trovavano anche tutti coloro che non svolgevano più attività professionali a seguito dei mutamenti tecnologici e organizzativi.

Ed è in seno ad organizzazioni o associazioni che si facevano carico di questi senza radici, spesso desiderose di riforme sociali, che si costituisce progressivamente un corpo di professionisti «del consiglio». Non è quindi un caso se fu a Boston che apparve nel 1909, poco dopo il decesso del suo autore, l’opera di un eminente membro di una di quelle associazioni, «la società Fabiana». Si tratta di «Choosing a Vocation (Scegliere una Vocazione)» di Frank Parsons, il libro generalmente considerato il primo manuale destinato ai professionisti del consiglio orientativo.

  1. Le tre dimensioni dell’interrogativo sulla vita attiva.

Che domande si ponevano queste persone relativamente alla loro vita attiva in un mondo economicamente, socialmente e tecnicamente nuovo? E come aiutarle?

Le analisi di Hannah Arendt (2017) della vita attiva dell’uomo moderno permettono di apportare degli elementi di risposta a questi quesiti. Arendt differenzia tre dimensioni costitutive della vita attiva.  Ciascuna può essere compresa come componente – più o meno importante – dei diversi lavori, mestieri, professioni, o delle funzioni professionali di oggi.

La prima di queste dimensioni è il lavoro (lavoro-fatica). Con esso si intende l’attività necessaria a permettere alle persone di continuare a vivere. É un’attività continuamente ricominciata, indispensabile alla sopravvivenza, che non lascia traccia di opera prodotta.

Ai nostri giorni, certi impieghi sono essenzialmente dei lavori-fatica. Per esempio: gli immigrati che raccolgono frutta e verdura, oppure le persone che fanno le pulizie notturne nelle sedi delle grandi aziende, coloro che si occupano a domicilio di più anziani nell’arco di una stessa giornata o coloro che consegnano pasti per Deliveroo o Uber Eats.

Il secondo aspetto della vita attiva dell’uomo moderno distinto da Arendt è l’opera ovvero il lavoro produttore di opere. É l’attività nella quale la persona vi si può investire poichè produce qualcosa di relativamente durevole nella quale si può riconoscere. Pertanto, la persona si rapporta a se stessa come  essere « capace di » che si sviluppa e si construisce grazie a questa stessa attività.

Le professioni intellettuali ed artistiche e tutti i mestieri artigianali sono degli esempi di attività professionali dove domina questa dimensione di lavoro operante. Nel mondo di oggi troviamo, ad esempio,  coloro che elaborano prodotti finanziari derivati presso le banche oppure di software per organizzare le consegne per Deliveroo o Uber Eats.

La terza dimensione della vita attiva dell’uomo moderno secondo Arendt è l’azione. Essa fa riferimento al fatto che la vita attiva produce più del risultato immediato del lavoro o delle opere. Questo «più» è qualcosa di nuovo, che generalmente non è stato previsto e che obbliga gli altri esseri umani ad organizzarsi collettivamente per farvi fronte. Ad esempio, le consegne di Deliveroo o Uber Eats producono importanti quantità di rifiuti da imballaggio. Risolvere questo problema presuppone un’organizzazione collettiva: bisogna istituire una certa regolamentazione? Bisogna riorganizzare la raccolta differenziata dei rifiuti e come? A più lungo termine, come organizzare il riciclaggio di questi prodotti?

In altre parole, l’azione sottolinea che la vita attiva di ciascuno conduce necessariamente a  cambiamenti mondiali tali da implicare necessariamente un’organizzazione collettiva. Essa non è sempre stabilita in modo certo in quanto il lavoro e l’opera producono incessantemente dell’inatteso. Esempi di vite attive dove domina l’azione si trovano nelle carriere di donne e uomini politici, fondatori e fondatrici di associazioni, organizzatori e organizzatrici di azioni collettive, giornalisti, intellettuali, ecc.

Le analisi di Arendt permettono di differenziare i grandi quesiti che si pongono gli individui contemporanei relativamente alla loro vita attiva. Certi esseri umani si trovano in situazioni economiche e sociali tali che la sola domanda che si possono porre è:

  • In che lavoro mi posso impegnare immediatamente per assicurare la mia sopravvivenza quotidiana?

Di frequente questa domanda è quella degli immigrati o delle donne che vivono in zone in declino economico (Coquard, 2009).

Altri interrogativi sono relativi al lavoro produttore di opere:

  • Che vita attiva mi permetterà di diventare chi desidero o mi immagino di essere?

Questo tipo di quesito è tipico di coloro che si relazionano a se stessi come a soggetti portatori di competenze. Il più delle volte essi dispongono di qualifiche valutate dopo un percorso di studi.

Alcuni centrano infine la loro riflessione sulla dimensione dell’azione. Essi si chiedono:

  • Quale vita attiva mi permetterebbe di contribuire con gli altri alla soluzione di certi problemi importanti che affliggono il mondo di oggi?

Un tale quesito si trova alla base della riflessione dei cittadini impegnati nell’economia sociale e solidale. É anche alla base delle dimostrazioni per il clima organizzate su impulso di Greta Thunberg.

In sintesi, ciascuna delle tre domande che include il quesito sull’orientamento di una vita attiva può essere così riassunta:

  • Che fare per assicurare la mia sopravvivenza? (Sopravvivenza).
  • Che fare per avere una buona vita? (Realizzazione di sé).
  • Che fare per contribuire a una vita collettiva equa e duratura? (Intenzione etica).
  1. Portata e limiti dell’accompagnamneto all’orientamento nel lavoro produttore di opere.

Questa scomposizione in tre dimensioni dei quesiti sull’orientamento della propria vita attiva permette di sottolineare la portata ed i limiti dell’accompagnamento all’orientamento attualmente offerto ai richiedenti.

Questo accompagnamento è stato così definito, il 21 novembre 2008, dal Cosiglio Europeo e dai rappresentanti dei governi degli stati membri:

«L’orientamento in quanto processo continuo  permette ai cittadini di ogni età, nell’arco della vita, di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, di prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione nonchè di gestire i loro percorsi di vita personale nelle attività di istruzione e formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui è possibile acquisire e utilizzare tali capacità e competenze. L’orientamento comprende attività individuali o collettive di informazione, di consulenza, di bilancio di competenze, di accompagnamento e di insegnamento delle competenze necessarie alla presa di decisioni ed alla gestione della propria carriera» (Consiglio dell’Unione Europea, 2008).

Questa concezione è coerente con la maggior parte dei lavori pubblicati nel corso del 20mo secolo relativi a questa tematica (si veda al riguardo Guichard & Huteau, 2003). Il consiglio in orientamento vi è concepito come finalizzato ad aiutare il richiedente a dare una direzione alla sua vita attiva in base alle sue competenze effettive e potenziali, alle aspettative, interessi e ai suoi valori. Così facendo questo consiglio si centra sulla seconda dimensione della vita attiva nella distizione che ne fa Hannah Arendt. Ovvero si rapporta alla vita attiva come se essa non potesse che essere una lavoro produttore di opere, dalla mediazione del quale l’essere umano si costruisce.

La prima dimensione dell’interrogativo sulla vita attiva – Che lavoro (fatica) trovare per sopravvivere? – è invece lasciato da parte. Non sembra degna di dare luogo ad un vero e proprio accompagnamento nella misura in cui si ritiene che la persona debba impegnarsi il più rapidamente possibile  in un lavoro che le consenta di guadagnarsi da vivere. Le sue competenze specifiche, i suoi interessi, i suoi valori, le sue aspettative giocano un ruolo marginale, se non nullo. Tuttavia sono processi di questo tipo che portano un’infermiera diplomata, rifugiata in Francia, a svolgere mansioni di guardia notturna in un centro commerciale oppure una giovane madre single, con diploma di estetista, a svolgere da casa mansioni ripetitive e mal pagate di decodifica di immagini finalizzate allo sviluppo di programmi di intelligenza artificiale.

Fino ad allora, il terzo aspetto della riflessione sulla vita attiva – attraverso quali attività potrei contribuire a risolvere, insieme ad altri, i grandi problemi che affliggono il mondo di oggi? – è rimasta periferica nell’accompagnamento all’orientamento. Sembra però destinata ad un futuro promettente. In effetti, come già abbiamo notato, i giovani sempre più si interrogano su come sarà la vita sulla terra quando essi saranno nel mezzo della loro esistenza. Tutto ciò in un contesto dove proliferano film, serie tv, romanzi, fumetti, ecc. che  «favoleggiano della fine del mondo», tanto per citare il titolo del saggio di Jean-Paul Engélibert (2019).

Peraltro, numerose ricerche sulle attività lavorative sottolineano quanto il lavoro produttore d’opera tenda sempre più frequentemente ad assomigliare al lavoro (fatica): un compito frammentato, ripetuto all’infinito senza altro scopo per la persona che lo esegue che di guadagnarsi da vivere. Charlie Chaplin lo rende bene in Tempi Moderni.

Queste varie osservazioni suggerscono che il supporto all’orientamento non può più concentrarsi esclusivamente sull’opera (lavoro produttore di opere), ma deve diventare imperativamente un accompagnamento all’orientamento-azione.

É questa l’ipotesi che verrà ora esaminata.

  1. Verso l’orientamento-azione.

Negli ultimi decenni un numero sempre crescente di cittadini dei paesi più ricchi – in particolare i giovani – si è reso conto che la specie umana nel suo insieme sta affrontando una crisi profonda e che è necessario, oltre che conveniente, agire per farvi fronte. Questa crisi si presenta con tre aspetti interangenti.

  • Un aspetto demografico e di giustizia sociale.

 

Nel 1850 c’erano un miliardo di essere umani. In duecento anni ci si aspetta che quel numero venga moltiplicato per dieci tanto da arrivare a 10 miliardi verso il 2050. Attualmente la metà degli esseri umani ha meno di 30 anni.

Questa crescita impressionante si accompagna a significative ineguaglianze di ricchezza tra abbienti ed indigenti. Tali disuguaglianze aumentano di anno in anno (Piketty, 2018). Secondo il « Rapporto Annuale su Ricchezza e Reditto/World Wealth and Income Data Base» (2018), redatto da un centinaio di economisti universitari che hanno elaborato i dati di circa 70 paesi del mondo, ovunque i divari di ricchezza aumentano, le disuguaglianze esplodono e l’instabilità politica è una minaccia.

  • Un fattore ecologico.

I problemi ecologici sono conseguenze della crisi demografica e di giustizia sociale. Il peso demografico, le ineguaglianze estreme e il consumo eccessivo da parte dei più ricchi hanno come risultato che la specie umana consumi ogni anno molte più  risorse naturali e produca più rifiuti di quanto la terra possa rigenerare nello stesso lasso di tempo.

Il Global Footprint Network ha calcolato che dal 29 luglio 2019, (Earth overshoot day/Giorno del superamento), viviamo consumando il nostro capitale di risorse e accumulando rifiuti che la natura non potrà assorbire (in particolare CO2). Quest’anno la specie umana avrebbe avuto bisogno di 1,75 terre per garantirsi la sopravvivenza (Global Footprint Network, 2019).

Questa crisi si manifesta attraverso il sovrariscaldamento climatico, vari tipi di inquinamento globale e diverse catastrofi naturali.

  • Un fattore di lavoro ed occupazione.

Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e di sistemi di transporto globale poco costosi – le navi porta-containers – hanno portato ad una globalizzazione degli scambi e del lavoro. Le tecnologie dell’informazione permettono lo sviluppo di un nuovo tipo di capitalismo (Marazzi, 2010 ; Hudson, 2012), il capitalismo finanziario. Questo impedisce gli investimenti produttori di interessi a lungo termine.  Privilegia gli acquisti e le vendite istantanee di prodotti finanziari, che si traducono rapidamente in profitti importanti. Inoltre, lo sviluppo dell’informatica porta ad una robotizzazione sempre più spinta della produzione.

La combinazione di queste evoluzioni ha comportato importanti trasformazioni del lavoro e dell’occupazione. In particolare :

  • La delocalizzazione di molte occupazioni in paesi a basso costo del lavoro. In quei paesi, il diritto del lavoro è spesso inesistente o non-applicato (Supiot, Dir., 2019).
  • Nei paesi più ricchi un indebolimento dei diritti dei lavoratori (Supiot, 2010) e lo sviluppo del precariato (Standing, 2011).
  • L’instituzione di forme molto flessibili di lavoro (per compiti e per orario).
  • La sustituzione dell’autoimprenditorialità per i contratti ordinari di lavoro (operatori per consegne a domicilio, operatori e centrali di raccolta dati per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ecc.).

In questo contesto economico e sociale mondiale, i lavoratori si trovano in situazioni di concorrenza estremamente sfavorevoli gli uni nei confronti degli altri. Di conseguenza aumentano le professioni che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro qualifica come «non-dignitosi » (OIT, 2019a). Utilizzando le categorie di Hannah Arendt, la vita attiva di un numero sempre maggiore di persone presenta oramai tutte le caratteristiche di un lavoro (fatica) alquanto penoso.

Queste tre categorie di fenomeni constituiscono aspetti diversi di una medesima crisi mondiale. Analizzarne uno porta necessariamente agli altri due. Ad esempio : analizzare il lavoro dei fattorini di «Deliveroo » ci porta necessariamente a ricordare uno studio belga in base al quale in un anno 39 lavoratori ogni 100 hanno subito un infortunio sul lavoro, ma ci costringe anche a trattare la questione dell’invio dei rifiuti da imballaggio nei paesi poveri, così come dobbiamo poi tener conto delle condizioni di vita di coloro che sopravvivono all’inquinamento prodotto dalla combustione lenta di questi stessi rifiuti.

Questa crisi globale è così grave che l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato all’unanimità il 25 settembre 2015 un programma di azione (non vincolante) per farvi fronte. Questa risoluzione si intitola «Transformare il nostro mondo: l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile» (UN, 2015).

Tuttavia, numerosi analisti – che ragruppiamo talvolta nella categoria dell’« ecologia politica » – concludono che il terribile stato di fatto descritto nell’agenda ONU, sia causato dall’attuale organizzazione dell’economia mondiale. Tra questi ricercatori vi sono personalità come Ivan Illich (2000, 2001), Constantin Castoriadis (2005), André Gorz (1978, 1992), Serge Moscovici (2002, 2005), Dominique Bourg (2019), Christian Arnsperger (2009, 2011), ecc.

Secondo questi analisti, in accordo con Milton Friedman, uno dei turiferari dell’economia liberale (alla quale essi si oppongono), nel mercato economico attuale :

« Le imprese non hanno che una e una soltanto responsabilità sociale : utilizzare le loro risorse per svolgere attività volte all’aumento dei loro profitti, nel rispetto delle regole del gioco, ovvero impegnandosi in libera concorrenza senza ostacoli, senza inganni e senza frode » (Friedman, 1970).

Ne consegue: lo sfruttamento senza freni delle risorse naturali, la produzione incontrollata di rifiuti, condizioni di produzione (e quindi di lavoro) disastrose per gli operatori e una formattazione publicitaria di bisogni e desideri dei consumatori allo scopo di smerciare prodotti (dall’obsolescenza programmata) generatori di profitti.

Quest’analisi ha portato 4000 firmatari (in particolare economisti, sociologi, e filosofi di fama) a proclamare un Manifesto Convivialista (Collettivo, 2013) la cui seguente citazione (da un editoriale pubblicato sul quoridiano  Libération) coglie l’idea principale:

«La crisi ecologica (nei suoi molteplici aspetti economici, sociali, politici) potrà essere risolta solo attraverso un progetto sociale globale che coinvolga, in varia misura, sobrietà energetica, territorializzazione delle attività economiche e sociali, solidarietà e democrazia locale nonchè il riorientamento dellla concezione tecnologica» (Guillaume Carbou, 2019, p. 25).

Per questi analisti, contrariamente a quanto sostengono i fautori del liberismo economico, esso non favorisce nè il bene comune nè la giustizia sociale. Non può che andare nella direzione opposta. Di conseguenza, affrontare la crisi implica trasformare profondamente il modello economico e sociale attuale e mettere in discussione la relazione tra l’uomo e il suo ambiente.

  1. Progetti preliminari di accompagnamento ad un orientamento-azione.

Con riferimento a queste analisi, la cattedra UNESCO «Lifelong Guidance and Counseling/Orientamento continuo e counseling» (di cui l’autore fu il primo titolare all’università di Wroclaw in Polonia dal 2013 al 2016) ha delineato due progetti preliminari di accompagnamento ad un orientamento-azione fondato su un principio fondamentale e su tre grandi imperativi.

  • Un principio e tre imperativi per un accompagnamento all’orientamento-azione.
  • Una vita attiva fondata sul Principio di Responsabilità (Jonas)

L’orientamento-azione ha per fondamento il «Principio di Responsabilità» di Hans Jonas (1990). Vale a dire l’imperativo di uno sviluppo economico sostenibile che sia socialmente giusto. Il suo obiettivo principale non può dunque essere l’orientamento verso il lavoro operante (cioè aiutare la persona a pensare al proprio futuro in termini di mestieri, funzioni professionali o carriere professionali, così come sono concepiti oggi). Deve essere invece quello di aiutare la persona a pensare il suo futuro riferendolo agli obiettivi definiti dall’ONU nel 2015 e tenendo conto dell’imperativo di una vita attiva dignitosa per tutti.

Come per l’orientamento per il lavoro produttore di opere, la riflessione che stimola l’orientamento azione riguarda i saperi, il saper fare, il saper essere, le aree di interesse o di valori che il richiedente spera di sviluppare.  Ma essa integra questa riflessione in un insieme di interrogativi più vasti relativi primariamente alle forme concrete di esercizio dell’attività, secondariamente alle forme concrete di scambio dei prodotti di questa attività e, in terzo luogo, alla « forma di vita » del richiedente in rapporto a quella di altre persone.
 Questi interrogativi corrispondono ad una tripla domanda : quali di queste forme sembra contribuire meglio ad uno sviluppo sostenibile, socialemente giusto, che ripartisca equamente la parte di lavoro-fatica ?

O, più semplicemente, questo accompagnamento all’orientamento-azione cerca di aiutare la persona a pensare la sua vita attiva chiedendosi: come orientare la mia vita attiva in modo tale che nel 2050, circa 10 miliardi di esseri umani possano vivere una vita veramente umana in un mondo dalle risorse limitate ?

Per permettere a ciascuno di rispondere a questa domanda, l’accompagnamento all’orientamento-azione mira a contribuire alla realizzazione di tre imperativi.

  • Stabilire un Diritto universale del lavoro.

Come precedenemente ricordato, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha come missione di instaurare un Diritto del lavoro che garantisca ovunque nel mondo delle condizioni di lavoro dignitose. Ma l’OIL non ha che un ruolo consultivo, non può nè definire i principi fondamentali di un Diritto universale al lavoro dignitoso, nè farlo applicare ovunque nel mondo.

Il contesto ideologico mondiale attuale – dominato dalla convinzione che nessun principio di diritto debba ostacolare i benefici della concorrenza economica – è tale che il diritto del lavoro, già lontano dalla piena applicazione, è progressivamente rimesso in discussione nella più parte dei paesi sviluppati.

Poco a poco, certe disposizioni favorevoli alla forza lavoro vengono erose poichè le si considera responsabili dell’aumento dei costi di produzione e, conseguentemente, pongono le imprese del paese interessato in una situazione di concorrenza sfavorevole rispetto a quelle di altri paesi dove il diritto del lavoro è più lassista o inesistente. I vari stati si trovano così a competere reciprocamente al ribasso in materia di diritto del lavoro (Supiot, 2010 et 2017).

Questi cambiamenti portano allo sviluppo di modalità di organizzazione del lavoro e delle forme di occupazione (ref : Linhart, 2015) che «corrodono il carattere » (Sennett, 1998), provocano usura mentale (Dejours, 2000), causano «burn-out», favoriscono le malattie professionali e gli incidenti sul lavoro e spingono alcuni lavoratori a suicidarsi sul posto di lavoro (Dejours et Bègue, 2009).

Ragion per cui la creazione di un Diritto universale al lavoro dignitoso ed umano è un imperativo prioritario.
 Ciò implica che tutti i cittadini del mondo vi siano sensibilizzati affinchè rivendichino l’implementazione di questo Diritto.

  • Impegnarsi nella realizzazione dell’agenda ONU di «sviluppo sostenibile entro il 2030 »


Considerata la dimensione ecologica della crisi mondiale attuale, l’imperativo di instaurare un Diritto universale al lavoro deve combinarsi con quello di uno sviluppo equo e sostenibile.
 Come già menzionato, l’Assemblea Generale dell’ONU nel 2015 ha approvato all’unanimità una risoluzione denominata «Trasformare il nostro mondo: programma di sviluppo sostenibile 2030». Essa fornisce un quadro di azione centrato su 17 obiettivi principali e precisa i target corrispondenti a ciascuno di essi. In totale sono 169 target da raggiungere entro il 2030.

Per esempio l’
obiettivo 12 è così redatto: «stabilire dei modelli di consumo e di produzione sostenibili».
 Il terzo target di questo obiettivo è il seguente: «Entro il 2030, dimezzare a livello mondiale il volume dei rifiuti alimentari per abitante, a livello di distribuzione e di consumo, e diminuire gli sprechi di prodotti alimentari lungo tutta la catena produttiva e di approvigionamento, compresa la perdita post raccolta».

La realizzazione di questo programma di azione implica decisioni politiche ed economiche, ma presuppone anche che ogni cittadino rifletta sulla propria vita attiva chiedendosi come essa possa contribuire alla realizzazione di questi obiettivi. Ciò implica che tutti abbiano una buona conoscenza di questi obiettivi e target affinchè ciascuno possa selezionare quelli che poi metterà al centro della sua propria riflessione personale. (Analisi diverse da quelle approvate dall’Assemblea Generale dell’ONU potrebbero servire da base per tali riflessioni. Il vantaggio dell’agenda dell’ONU è che è stata riconosciuta e approvata ufficialmente da tutti i paesi rappresentati in detta Assemblea Generale).

  • Ridurre l’impronta ecologica umana (in particolare attraverso la delocalizzazione di talune produzioni e la loro distribuzione).

Ogni anno i lavori (citati in precedenza) del «Global Footprint Network» mostrano che l’umanità nel suo insieme vive sempre di più al di sopra delle proprie possibilità sia per consumo di risorse naturali che per produzione di rifiuti ed inquinamento di varia origine. Questo fenomemo è principalmente il risultato degli stili di vita della popolazione più ricca del mondo (Hunday, 2015; Bourg et col., 2016). Gli esseri umani più abbienti devono imperativamente «puntare su un altro stile di vita» per citare il titolo della prima parte del sesto capitolo dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, di cui il paragrafo 203 precisa (immediatamente sotto il titolo):

«Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto».Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia» ((François, 2015, pp. 155-156).

Tuttavia, da una trentina d’anni, degli economisti (in particolare Dumont, 1991; Latouche, 1992; Latouche et Tamba, 1992) sottolineano che diminuire l’impronta ecologica implica «rilocalizzare» la produzione e gli scambi (Azam, 2007). Ciò significa che – per certi beni – dei circuiti brevi di produzione e di scambi si sostituiscono agli scambi mondiali e che le industrie di trasformazione si sviluppano in prossimità di luoghi di captazione delle risorse naturali (per esempio: in Africa. Si veda Kako Nubukpo, 2019).

Occorre quindi sviluppare un’economia mondiale basata su un « Principio di sussidiarietà territoriale » (o «sussidiarietà ecologica ») consistente nel dare priorità ai sistemi di produzione e di scambio ad impronta ecologica debole (Guichard, 2019, 2020). Questo principio porta a distinguere, da un lato, beni che non potendo essere soltanto (o principalmente) progettati, fabbricati e scambiati in un sistema di commercio globalizzato (per esempio : farmaci, ricerca scientifica, grandi innovazioni tecnologiche, ecc.) e dall’altro, delle produzioni che possono essere locali, regionali o interregionali, in funzione della loro impronta ecologica immediata e a più lungo termine. È quindi essenziale sviluppare sistemi locali di produzione e di scambio di beni e di servizi che costituiscono il livello di base di una tale organizzazione economica (Laville, 2016).

Ma, come sottolinea Azam e col. (2007, p. 65):

« Ciò presuppone una profonda riforma del Fondo monetario internazionale (FMI), della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), che hanno una responsabilità pesante nella crisi attuale ».

Di conseguenza, si impone una transformazione dei principi alla base dell’organizzazione del commercio mondiale e dei trattati commerciali mondiali e intra-europei. L’accompagnamento a un orientamento-azione deve dunque contemporaneamente sensibilizzare i cittadini del mondo a questo imperativo e aiutare ciascuno a individuare lo stile di vita attiva in cui potrebbe impegnarsi per ridurre la sua impronta ecologica.

  • Due progetti preliminari di accompagnamento ad un orientamento-azione.

Basandosi su questo principio ed in funzione di questi tre imperativi la cattedra UNESCO ha delineato due progetti preliminari di accompagnamento ad un orientamento-azione. Si tratta, da una parte di un’educazione all’orientamento rivolta principalmente ai giovani e, dall’altra, laboratori e consulenze destinati soprattutto agli  adulti.

  • Orientarsi verso un mondo sostenibile ed equo attraverso una vita attiva dignitosa e umana.

Questa nuova educazione all’orientamento comprenderebbe due aspetti:

  • La scoperta del ruolo essenziale del lavoro, delle sue modalità di organizzazione e delle sue forme di scambio nella costruzione di un mondo comune e della soggettività di ciascuno.

Questa scoperta (che implica una pedagogia attiva) si potrebbe basare su un adattamento ai livelli di conoscenza e di riflessione dei giovani interessati da lavori quali quelli di d’Henri Bergson (2012), Hannah Arendt (2017), André Gorz (1992), Christophe Dejours (2000, 2009a &b), Alain Supiot (2010, 2019 & Supiot, Dir. 2019), Danielle Linhart (2015), OIT (2017, 2019a &b), ecc. L’obiettivo sarebbe di far prendere conoscienza ai participanti del ruolo delle varie forme di organizzazione e di scambio del lavoro nello sviluppo dei talenti individuali, di certi modi di rapportarsi a sè e agli, e di reppresentare sè e gli altri, delle transformazioni del mondo che esse provocano,
 degli effetti deleteri di certi sistemi di organizzazione e di scambio di lavoro,
 ecc. E, quindi, dell’importanza fondamentale per l’individuo e la collettività umana di un Diritto universale ad un lavoro dignitoso ed umano.

  • La riflessione di ciascuno su una futura vita attiva che contribuisca a raggiungere gli obiettivi e i target definiti dal programm dell’ONU del 2015. Questa riflessione presuppone : (1) che i participanti prendano atto dei diversi obiettivi e target, (2) che selezionino quelli per i quali intendono impegnarsi, (3) che riflettano sulle attività di lavoro che possono contribuire al meglio alla realizzazione di questi target (tenendo conto degli imperativi per uno sviluppo sostenibile, socialmente giusto e della preoccupazione di ripartire equamente il lavoro-fatica di ciascuno), (4) che prendano coscienza delle capacità da sviluppare per impegnarsi in queste forme di attività di lavoro e che (5) che selezionino i modi migliori di procedere per sviluppare questi talenti.

 

  • Costruire delle vite attive che riducano l’impronta ecologica.

Questo intervento inizialmente si rivolgerebbe agli adulti che desiderano riflettere sulle forme di vita attiva nella quale impegnarcisi – collettivamente o individualmente – per minimizzare la loro impronta ecologica. Includerebbe una parte collettiva e un momento individuale.

  • Gli obiettivi dei laboratori collettivi sarebbero: (1) Sensibilizzare i participanti all’imperativo di riformare il sistema mondiale di organizzazione della produzione e dello scambio dei beni in vista di «delocalizzare » talune produzioni e di organizzare circuiti brevi (Azam, 2007). (2) Riflettere collettivamente sulla possibilità di organizzarsi per sviluppare in una determinata zona geografica un «sistema locale di produzione e di scambio » di beni e servizi (Quali bisogni sono poco o mal soddisfatti ? Quali forme di attività di lavoro e di scambio potrebbero soddisfarli al meglio? Come organizzare questo sistema? Come trovare i primi finanziamenti necessari? Ecc.) (Mandin, 2009; Laville, 2016).
  • Le consulenze individuali sarebbero finalizzate ad aiutare ciascuno a riflettere sulla propria vita attiva partendo dall’imperativo di minimizzare l’impronta ecologica. In quali attività di lavoro (producente quali beni o servizi durevoli e scambiabili soddisfacente quali bisogni umani?) impegnarsi? In quali organizzazioni di lavoro e di sistemi di scambio? La persona ha la possibilità e spera di partecipare all’organizzazione di un sistema locale di scambi (o di integrarsi in un sistema esistente)? Ecc.

 

Conclusioni

Quale accompagnamento all’orientamento per il 21mo secolo? Da quest’analisi emerge  l’«orientamento-azione» dovrebbere includere anche l’attuale «orientamento al lavoro produttore di opere». Sono stati delineati due tipi di intervento. Da una parte un’educazione all’orientamento-azione che sensibilizzi i giovani alle sfide del lavoro dignitoso e che li aiuti a pensare la loro futura vita attiva a partire dagli obiettivi e target definiti dall’ONU nel 2015. Dall’altra dei laboratori collettivi e dei dialoghi di consulenza destinati ad aiutare gli adulti a costruire delle vite attive che contribuiscano ad un sviluppo equo, sosteibile ed umano.

Queste proposte si fondano sui lavori di universitari specialisti in diritto, come Alain Supiot o di economisti, come Geneviève Azam (2007). Essi concordano nel concludere che la triplice crisi con la quale l’umanità è chiamata oggi a confrontarsi non potrà essere risolta senza l’istituzione di un diritto mondiale del lavoro e senza una riforma radicale dell’attuale organizzazione mondiale del commercio (e dei trattati commerciali). Come scrivono Geneviève Azam, Jean-Marie Harribey et Dominique Plihon, questa riforma:

«Non può riguardare soltanto i cambiamenti istituzionali, ma esige la rimessa in discussione del libero scambio in generale e la libera circolazione dei capitali, eretti a dogma. In effetti, il progetto neo liberista consiste nel mettere in competizione non solo i produttori, ma anche i sistemi sociali, secondo la regola del «dumping sociale»; mira a liberare le imprese transnazionali dai vincoli sociali, ambientali e fiscali, vale a dire dalle barriere non tariffarie agli scambi, secondo i termini dell’OMC. Il libero scambio generalizzato indebolisce i più poveri ed accresce le disuguaglianze sia all’interno delle stesse società che tra le società del nord e quelle del sud» (Azam, Harribey, e Plihon, 2007, pp. 65-66).

In un contesto mondiale di smarrimento e di aumento di movimenti aventi rivendicazioni relative allo sviluppo sostenibile ed equo, tali proposte avranno senza dubbio un’eco favorevole in molti giovani.

Esse vanno contro i principi neoliberisti su cui si fondano le decisioni politiche dell’Unione Europea e di molti stati. Non solo, rischiano anche di scontrarsi con la visione del mondo dell’«homo consultans della cultura pop», per riprendere la terminologia di Alicja Kargulowa (2018). Con questa espressione ci si riferisce al fatto che in società ad alta diffusione di media e social networks controllati da grandi gruppi internazionali, il cittadino è diventato un essere il cui spirito è organizzato da una marea incessante di immagini, informazioni, slogans, consigli, ecc., che lo aiutano a condurre la sua vita «al meglio» nel mondo di oggi senza veramente preoccuparsi di quello di domani.

Come sottolineato da Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, durante l’Assemblea Generale del 2019 :

«[Dobbiamo] riconoscere che non siamo sulla buona strada e di conseguenza prendere le decisioni necessarie in materia di investimenti, di politiche, di modifiche delle varie forme di cooperazione, a livello internazionale o con le imprese, la società civile, le autorità locali per assicurare una più efficace messa in pratica dell’agenda 2030 ».

«Abbiamo dunque bisogno di più cooperazione internazionale per vincere i cambiamenti climatici. Per le disuguaglianze, vale la stessa cosa. Abbiamo bisogno di una globalizzazione giusta, e una globalizzazione giusta è possibile solo grazie ad una cooperazione internazionale maggiore » (Guterres, 2019).

«Cooperazione» (come auspica António Guterres) o «concorrenza economica senza impedimenti» (come  sostengono i sostenitori del neoliberismo (Cf. Bernard Esambert, 1991)?

Quali di questi due principi assicurerà una sviluppo sostenibile ed equo basato su vite attive pienamente umane?

Sappiamo che cooperazione e solidarietà (Supiot, dir., 2015) sono due nozioni-chiave dell’orientamento-azione. Si riferiscono ad un principio etico la cui formula è una sintesi degli enunciati di Hans Jonas (2009) e di Paul Ricoeur (1993): «Orienta la tua vita attiva per contribuire al vivere bene, con e per gli altri, in istituzioni giuste, per assicurare la perennità di una vita autenticamente umana sulla terra».

 

Riassunto:

Finora, l’accompagnamento all’orientamento ha considerato la vita attiva delle persone essenzialmente nell’aspetto dell’opera, ovvero del lavoro produttore di opere. Le analisi di Hannah Arendt suggeriscono di non ignorare le dimensioni di «lavoro» (lavoro-fatica) e di «azione». All’inizio del 21mo secolo, l’umanità affronta una grave crisi che coinvolge questioni demografiche e di giustizia sociale, sfide ecologiche e problemi che riguardano il lavoro e l’occupazione. Facendo riferimento al piano di sviluppo sostenibile 2030 dell’ONU e ai lavori di specialisti in ecologia politica e di analisi del lavoro, è stato delineato un progetto di accompagnamento all’orientamento-azione (verso uno sviluppo equo e sostenibile). Due sono i progetti premilinari di intervento. Mirano ad aiutare le persone a trovare una propria risposta alla domanda: come orientare la mia vita attiva in modo tale che nel 2050 circa 10 miliardi di essere umani possano vivere una vita veramente umana in un mondo in cui le risorse sono limitate?

 

Autore:

Jean Guichard è professore emerito di psicologia presso il Conservatorio Nazionale di Arti e Mestieri (Parigi, Francia). É stato direttore dell’Istituto Nazionale di Studi sul Lavoro e l’Orientamento Professionale, e ne è Presidente onorario di rete  UNITWIN e della cattedra UNESCO «per l’accompagnamento all’orientamento per un lavoro dignitoso e lo sviluppo sostenibile». Le sue ricerche attuali riguardano il ruolo dei colloqui di life design nella realizzazione di sè e il sostegno all’orientamento per uno sviluppo umano, equo e sostenibile.

 

 

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