di Sara Veggis, ricercatrice presso ISRE

In attesa dei risultati della Ricerca ISRE sull’intergenerazionalità nel sistema delle PMI, curata dalla dott.ssa Sara Veggis e coordinata dal prof. Franco Civelli, proponiamo una riflessione sul tema per collocarlo a livello terminologico e nel contesto economico attuale.

 

Cosa si intende per intergenerazionalità? È quanto mette in relazione, in comunicazione, le diverse generazioni. Il progetto “Bridge –  un ponte fra le generazioni”, finanziato dalla Regione Veneto, ha come scopo sviluppare questa tematica tramite una “ricerca – intervento”, dettando l’inizio di un percorso che coinvolge la Regione nel suo rapporto con il sistema delle PMI.  Le differenze non devono essere un limite ma un valore e questo anche per le diverse generazioni. Di qui il senso di “Bridge”, del ponte, del raccordo.

Quando si parla di intergenerazionalità si sta trattando di Age Management, ossia di quelle buone pratiche che coinvolgono la gestione delle diverse generazioni a confronto all’interno delle aziende.

Secondo i dati raccolti nelle statistiche demografiche recenti, si vede come l’Italia, rispetto ad altri paesi a livello mondiale, risulta la terza nazione per longevità. I dati recenti mostrano, in prospettiva, come è orientato lo sviluppo demografico mondiale e ciò che ne emerge è che nella media della popolazione globale il 62% comprende persone incluse tra i 15-59 anni, di cui il 12% supera i 60 anni.

La finalità, la mission, dell’Age management è considerare la necessità di prendere in carico l’avanzamento dell’età delle persone, tutelando i loro diritti e preservando la loro integrità.

Quello che a livello organizzativo tocca le aziende è la problematica legata al passaggio di competenze tra una generazione e l’altra, in quanto spesso esse si trovano ad avere molti lavoratori vicini al pensionamento e molti altri che dovranno subentrare per la loro sostituzione. Affinché avvenga questo passaggio è necessario avere strumenti  che siano in grado di valutare nel concreto le abilità e conoscenze dei lavoratori attualmente in forza, e definire come e quali competenze trasmettere ai neo inseriti in relazione alle trasformazioni che avvengono nei mercati e agli scenari che si configurano.

In vista della trasmissione delle competenze da un lavoratore all’altro, è necessario coinvolgere professionisti che traducano e agevolino la trasmissione di conoscenze e far prendere consapevolezza alla persona che “ fa” un lavoro, il suo “saper fare”.  La necessità dunque di mentori, di “maestri”, diventa fondamentale,  come quella di facilitatori della trasmissione di esperienze, conoscenze, mestieri veri e propri. I processi di apprendimento svolgono un ruolo fondamentale. A livello europeo da molti anni si è affermata l’esigenza del “lifelong learning”, dell’apprendimento permanente. La necessità di “apprendere ad apprendere” svolge in tutto questo un ruolo primario.

Ciò che motiva la persona ad apprendere è in primo luogo la passione per ciò che fa, l’attribuzione di senso per svolgere la propria professione con un fine non solo remunerativo, ma  con riflessi sulla società nel suo complesso.  Anche perché dilatandosi i tempi dell’attività lavorativa, cambiando repentinamente le tecnologie, i mercati , il rischio di essere “fuori mercato” diventa un aspetto  rilevante sia per le persone, che di conseguenza per  i territori e tutta la realtà social. In questo contesto è necessario valorizzare la persona in quanto tale, riconoscerle le proprie capacità, aiutandola a cambiare, ove necessario,  il modo di vivere la sua vita e il suo lavoro.

Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione inoltre c’è la possibilità di trasferire la mole di lavoro, per alcuni tipi di attività, a casa ed eventualmente anche comunicare da casa delle pratiche da svolgere sul posto di lavoro. Le generazioni Aged non sono abituate a questi cambiamenti tra lavoro e non-lavoro e si nota anche la difficoltà nella fruizione delle tecnologie stesse. Il “digital divide” non è affatto un fattore avulso dalla realtà. Infatti, vivendo in una realtà in cui si cerca di dare la possibilità eguale a tutti i membri di un’organizzazione, aged o meno, è necessario prendere in carico queste criticità e gestirle al meglio tramite una forma di alfabetizzazione digitale che possa far comprendere a tutti lo stesso linguaggio tecnologico.

Tra le pratiche individuate per attualizzare questo passaggio di competenze, si è focalizzata l’attenzione su alcune nello specifico: job shadowing, mentoring e reverse mentoring.

In particolare per quanto riguarda il reverse mentoring, si vede come influisca positivamente sia, per il nativo digitale, che si sente utile come portatore di conoscenze, sia per l’allievo aged che acquisisce conoscenza.